# 7 – Quattro Santi entrano in una libreria

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# 7 – Quattro Santi entrano in una libreria – LEGGI ONLINE

La Panda bianca entrò cigolando per la stradina ciottolosa di via , tossendo e sputando scorie di fumo nero e grigio nell’aria già abbastanza irrespirabile di quella sera e, dopo quattro fallimentari tentativi di parcheggio, riuscì a infilarsi in mezzo alla fila di auto che stava sul lato opposto della libreria.
Marzio rimase con la mano sospesa sopra le chiavi dell’auto, soppesando la serie di eventi che si sarebbero scatenati una volta spento il motore. Sapeva che trovare il coraggio di uscire dalla macchina avrebbe richiesto quasi lo stesso tempo necessario a superare il cartello che indicava l’uscita da San Infantino o mescolarsi in mezzo alle auto che sfrecciavano furiose nella tangenziale. La Voce gli aveva fatto da guida spirituale e stradale, indicandogli le uscite e le svolte corrette, urlandogli nel cranio parolacce e bestemmie rivolte agli altri automobilisti e consolandolo ogni volta che era costretto a sostare per smaltire l’ennesimo attacco di panico.
Superato il traffico del tardo pomeriggio, non si ritrovò in una di quelle città pullulanti di vita e luci che vedeva attraverso lo schermo della TV o le vignette dei fumetti. Non vide quei passanti che procedevano da un lato e l’altro della strada, incrociandosi al centro delle strisce pedonali come branchi di pesci sonnambuli in collisione; non udì nemmeno il chiasso di clacson, marmitte e di voci assonnate che si intrecciavano sotto nuvole di smog. Immerso nella piena desolazione di agosto, quella che trovò fu una sorta di città fantasma, con quasi tutte le luci delle case che costeggiavano la via spente e una strada principale dove vide passare giusto qualche tram che strideva e scampanellava per annunciare il suo arrivo ai fantasmi dell’ora di punta passata. La quiete di quel pezzo di città era simile a quella che circondava ‘’casa di papà’’, nonostante l’assenza di boschi o di colline che dessero un senso a quel silenzio che, filtrando tra le facciate dei palazzi e intorno ai lampioni, gli appariva solo come un’opprimente assenza di vita.
Spegni il motore, gli disse la Voce.
Marzio ubbidì, non senza un’ultima esitazione. L’auto lanciò un ultimo colpo di tosse e Marzio si sentì di sprofondare nel silenzio, come un masso gettato al centro dell’oceano.
«E… e adesso?»
Marzio rimase in ascolto del ronzio dei lampioni e del vociare ovattato che proveniva dalla libreria, in attesa di un segno dalla sua Voce. Non era sparita, pareva più che si fosse nascosta tra le pieghe del cervello o tra le fessure del cranio, prendendosi il suo tempo.
«Che cosa devo fare?» bisbigliò di nuovo Marzio, piegando un angolo della bocca come per non farsi sentire. «Hai un… piano?»
Abbiamo una missione, rispose alla fine, riemergendo dal silenzio.
«E… e basta?» Marzio strinse il volante. Il cuoio cominciò a stridere sotto le sue dita, dando un suono ai suoi timori.
Ti è bastato questo, fino adesso.
La Voce tacque di nuovo.
La porta della libreria si aprì, sprigionando una piccola onda di voci e di tintinnii di bicchieri sopra un tappeto di vecchie canzoni francesi. Pareva un posto accogliente ed elegante, dall’aria antica e nostalgica tipica di una piccola bottega di libri usati. Non era un certo un posto per quelli come lui, pensò Marzio, qualunque fosse la categoria in cui Marzio rientrasse.
Si entrava attraverso una porticina verde schiacciata tra due grandi vetrine ricolme di libri d’arte e di fotografia impilati senza logica né ordine per i pavimenti e i pesanti tavoli di legno, come rovesciati lì dal libraio in un impeto di insofferenza. Attraverso la vetrina, si potevano già vedere un gruppetti di cinque o sei ospiti sparsi per la sala che pescavano i libri dagli scaffali, sfogliandoli meccanicamente, senza interesse, come ripetendo inconsciamente un gesto antico di cui non sembravano conoscere l’origine né lo scopo.
Si sarebbe aspettato di vedere molta più vita lì dentro. Era pur sempre di Pichelli che si stava parlando. Allo stesso tempo, quella desolazione gli permetteva di mettere tutte le sue ansie una in fila all’altra e convincersi che tutto sarebbe andato bene, senza troppi testimoni o impedimenti. Probabilmente, non sarebbe stano nemmeno necessario toccare la Desert Eagle che aveva messo a sedere sul sedile del passeggero.
Il respiro gli si mozzò in gola. Come da copione, i polmoni si restrinsero come due sacchetti della spazzatura e la tosse esplose, un colpo dopo l’altro, tanto forte da convincerlo che i colpi gli sarebbero esplosi nelle orbite.
Marzio osservò la mano brillante di sangue fresco che si confondeva tra quello secco di Don Antonio, ancora raccolto nello spazio tra le dita.
Una cosa la sappiamo tutti e due, Marzio, ed è che non abbiamo molto tempo. Ma possiamo tornare a casa di papà, nella tua cameretta, se non te la senti.
Il pensiero calmò, per un attimo, il cuore e i polmoni di Marzio.
«E me lo lasceresti fare? Tornare?»
La Voce rimase in silenzio, lasciandolo in una lunga, soffocante attesa.
Un pugno con quattro dita è sempre un pugno, disse.
Marzio fissò lo specchietto retrovisore, come cercando una risposta nei suoi occhi confusi dove lesse, sorprendendosi, una specie di terrore.
«Che… questo… questo non l’ho mai letto» scosse la teste e si corresse. «Non lo hai mai detto.»
Stai zitto e fai il rilassato, disse la Voce, ignorandolo. Ne abbiamo già abbastanza per farci notare.
«Non c’è nessuno qua» sussurrò Marzio.
Intendi quel ‘’nessuno’’?
Una gigantesca bodyguard in abito nero apparve dal nulla davanti al portone d’ingresso della libreria. Si mise nella possa di un cavaliere medievale, con le mani incrociate sopra il cavallo dei pantaloni e il mento alzato in atteggiamento da sfida, con gli occhi piccoli e indagatori fissi su di lui, anche quando scostava la testa per spostare il lungo codino castano da una spalla all’altra.
«Possiamo aspettare. Magari se ne va» disse Marzio, asciugandosi il sangue rimasto dalle labbra.
Aspettare è il suo lavoro. Pensi che quel tizio ci lascerà fare tutto quello che vogliamo?
«Non abbiamo un piano» grugnì Marzio, dando un pugno di stizza al volante, provocando un alzata di sopracciglio da parte della bodyguard. «Ho solo una pistola.»
E me…
«Ho solo una pistola e te…» pian piano, la sua testa scese sconsolata sul volante. «Non lo voglio fare. Non lo posso fare.»
Se ti permetto di partecipare è solo dall’alto della mia misericordia, Marzio, urlò la Voce. Posso indossarti come un guanto quando e quanto mi pare. Non puoi più scegliere. Quello è un lusso che non ti puoi permettere più.
Le parole della Voce cominciarono a suonargli come unghie scheggiate conficcate nei timpani e il cervello. Marzio prese prima a prendersi a pizzicotti sulle mani, poi direttamente agli schiaffi sulla faccia, lasciando vibranti segni rossi sulle guance.
Puoi torturarti quanto ti pare, non cambia la situazione. Non si toglierà dalla porta. Lui sarà sempre lì, e io sarò sempre…
La Voce s’interruppe, spezzandosi in un balbettio stentato, carico di ronzii statici e distorsioni che costrinse Marzio a tapparsi le orecchie, alimentando i sospetti e le perplessità della bodyguard.
Lo sento… sussurrò la Voce, carica di commozione.
Quello che appariva come un normale passante emerse dalla notte raccolta in fondo alla strada. Camminava con passo dinoccolato, comparendo e scomparendo tra le ombre e i coni di luce che dai lampioni si riversavano sul marciapiede. Dopo più di vent’anni e sei volumi di storie, con la solitudine della strada ad aleggiargli intorno come una nebbia, Pichelli fece la sua apparizione, invadendo la realtà di Marzio con il passo indeciso e dondolante di un ubriaco appena uscito da un pub.
Si fermò davanti all’entrata per scambiare due parole con la bodyguard e sparì dietro la porta d’ingresso. Gli occhi di Marzio seguirono i movimenti di Pichelli dietro la vetrina, osservandolo farsi strada tra i clienti, ancora assorti nel loro sfogliare meccanico, lanciando cenni e sorrisi a chi lo riconosceva, rifiutando di firmare un paio di autografi finché non salì per una scaletta e sparì dalla sua vista.
È… è lui, rantolò la Voce, senza davvero parlare con Marzio. Sembrava cercasse di convincere se stessa e dare forma a quelle due parole che non si sarebbe mai sognata di pronunciare né nel mondo della carta né in quello della carne.
Marzio sentì un’iniziale stretta al petto che andò pian piano allentandosi, come se il suo cuore si fosse aperto a un mondo nuovo e sconosciuto, bagnato da una nuova luce.
Siamo vicini, Marzio. Più che vicini…
La bodyguard bussò al finestrino. Perso nella gioia di scariche e sussurri della Voce, non si era accorto di aver mantenuto lo sguardo fisso sugli occhi della guardia troppo a lungo per non accendergli una sorta di allarme interno. Non si accorse nemmeno della sua lenta avanzata fino alla macchina, finché il petto ampio e gonfio non arrivò ad occupare tutto lo spazio del finestrino.
Il pugno dell’uomo, ricoperto di anelli e tatuaggi tribali, si alzò lentamente e bussò di nuovo, senza piegarsi per spiare nell’abitacolo.
Fai qualcosa, disse la Voce, con le parole ancora rose dal pianto.
«Cosa?» sussurrò Marzio
Qualunque cosa.
«Signore? Va tutto bene?» disse la bodyguard, bussando di nuovo.
Si abbassò e fece vagare gli occhi nell’abitacolo fino a fermarsi sulla Desert Eagle appoggiata sul sedile del passeggero.
«Esca dalla macchina» disse l’uomo, allontanandosi con i pugni alzati a mezz’aria, come afferrando due pistole invisibili. «Adesso.»
Marzio tenne la testa bassa, come un cane colpevole, e allungò la mano verso lo stereo.
«Non ha alcuna autorità, signore» urlò Marzio, sentendo la sua voce ridursi a un tono infantile che gli era dolorosamente familiare. «Sto solo seduto nella mia macchina. Non faccio niente. Voglio solo… ascoltare un po’ di musica.»
Poggiò il dito sulla musicassetta bianca che sporgeva dal mangianastri e la inserì. Una musica rapida e feroce di chitarre scordate e batterie di latta invase l’abitacolo, facendo tremare i vetri e la carrozzeria. Il bussare iniziale si trasformò in un martellare minaccioso contro i fragili vetri della Panda. Marzio rimase paralizzato, con le dita strette intorno al volante e la faccia schiacciata contro il clacson.
«Apri ‘sta porta!»
Tenendo la testa bassa, Marzio allungò una mano verso la pistola.
Non la pistola. Farai arrivare qui tutta la città.
La bodyguard indietreggiò di un paio di metri e si piazzò rigido in mezzo alla strada. Piegò le ginocchia, fece roteare le braccia e si immobilizzò in una posa kung fu. Poi, lanciando un grido da battaglia, corse verso la macchina e, con un piccolo salto sgraziato, sferrò un calcio con avvitamento contro il finestrino.
«No!» gracchiò Marzio, nascondendosi il viso tra le mani e alzando il volume dello stereo al massimo sostenibile.
Questa non è roba per te. Fai venire Lui. Non fare resistenza.
«Non sto… non sto resistendo…»
Marzio strizzò gli occhi, concentrando ogni fibra del suo corpo per rievocare il Santo, ma a ogni volta che sentiva una minima scintilla attraversargli la schiena, la bodyguard mollava un altro calcio, trascinandolo di nuovo giù nel terrore.
Un terzo calcio con avvitamento lasciò una piccola crepa in mezzo al finestrino. Poi, con il fiato strozzato e sibilante, la bodyguard sfogò il suo repertorio di pugni, ginocchiate e testate allargando la crepa sempre di più fino a formare una ragnatela scintillante che ricoprì tutto il vetro.
Svuota la mente, Marzio. disse la Voce. Respira via la paura.
«Non ci riesco. Non ce la faccio. Non posso…» continuò a piagnucolare Marzio.
Sei arrivato fino a qui, Marzio…
Minuscoli frammenti di vetro scintillante cominciarono a piovergli sulle spalle e sulle ginocchia. L’aria della sera s’intrufolò nell’abitacolo, mescolata all’odore acre del sudore e della colonia a buon mercato di cui era intriso l’abito della bodyguard.
Niente ci può più fermare. Nemmeno la pioggia. Hai dato un’occhiata al cielo?
Marzio alzò gli occhi. Una lunga striscia rossastra dipingeva quella parte di cielo sfiorata dalle cime dei palazzi. Sopra quella striscia, il cielo si faceva più livido e, in mezzo, nel suo cuore più scuro e freddo, Venere scintillava.
Lo scricchiolio del vetro e i grugniti della bodyguard si ridussero a un ronzio di fondo, mentre Marzio leggeva le pulsazioni della prima stella della notte che sembrava comunicare con lui tramite una specie di codice Morse segreto.
Il cielo sanguina, Marzio. Sanguina come me e te…
Le mani continuarono a tremare, strette intorno al volante, finché una lenta ondata di gelo, simile a un lungo soffio, si fece strada lungo la pelle, producendo uno sfrigolio di elettricità statica che gli fece rizzare i peli delle braccia e della nuca. Quando quella sensazione gli riempì la testa, Marzio sentì finalmente il suo corpo rilassarsi per poi tendersi di nuovo come la corda di un arco, fremendo di una nuova energia e di una nuova rabbia.
La bodyguard rimase con un pugno a mezz’aria e fece un passo indietro, disorientato. Quella specie di vecchietto nella Panda lo fissava incuriosito, come un boa intento a calcolare le misure del suo pasto. Era sicuro che, fino a qualche pugno prima, avesse gli occhi impauriti di un castano intenso e non di quell’azzurro gelido, senza emozione né vita.
Il Santo rimase a osservarlo, stringendo saldamente le mani intorno al volante fino a farsi le nocche bianche. Chiuse i denti in un ringhio, allargando le labbra perché la sua preda potesse vedere la dentatura storta e affilata. Il collo del Santo si tese e si gonfiò per lasciare spazio a un grido animalesco, unendosi in un coro distorto all’urlo disperato del cantante punk che faceva vibrare le casse delle portiere.
Si lanciò verso i finestrino con i pugni alzati, sfondando il vetro con metà del corpo. Senza distogliere il suo sguardo da quello sconvolto della bodyguard, lo afferrò per il colletto, lo tirò a sé e lo spinse giù verso la portiera. Quando i vetri gli lacerarono il collo, la bodyguard ebbe un ultimo, poderoso sussulto che viaggiò attraverso le mani e le braccia del Santo. Poi, il corpo dell’uomo si spense, lanciando un lamento strozzato, appena percettibile sotto la musica che si era riversata in strada.
Va bene. Disse la Voce, con un certo tono di sorpresa. Nel bagagliaio. Subito.

La presentazione contò almeno una ventina di presenze, ma solo quattro di queste erano ‘’fedeli lettori’’.
Due ragazzini e due ragazzine.
Due Santi e due Sante, per l’esattezza.
C’era era ragazzino dalla pelle scura e i capelli argentei tagliati in una sorta di cubo perfetto che trasportava un altro ragazzo, appena ventenne, su una sedia a rotelle. Entrambi portavano giganteschi occhiali da sole con una montatura spessa alla Buddy Holly e indossavano autentiche tuniche da prete in puro cotone; niente a che fare con quei costumi in tessuto sintetico che tutti i vari cosplayer ordinavano online. Nonostante fossero arrivati insieme, non si rivolsero né una parola né uno sguardo per tutta la presentazione, ognuno guardando in direzioni diverse, come a voler negare l’uno la presenza dell’altro. Per quanto riguardava le due Sante, una delle due ragazze, – con un’unica, lunga striscia di piango che attraversava i capelli rosso ramato – aveva optato per una camicia nera e una gonna lunga fino alle caviglie. L’ultima Santa, dalla pelle olivastra e gli occhi verdi dai contorni orientali, indossava uno hijab nero e un lungo rosario con una perlina bianca al centro a sostituire il colletto da prete.
Tutti e quattro parevano versioni del Santo provenienti da universi differenti, con i loro capelli striati di bianco, i pugni chiusi contro i fianchi e le braccia e il collo attraversati da un intricato reticolo di cicatrici lasciati come ricordo del loro battesimo nell’elettricità. Ognuno teneva tra le braccia una copia de La Stagione delle Piogge logorata da letture su riletture, con le pagine gonfie, gli angoli spiegazzati e i margini delle copertine rigide graffiate fino a mostrare le interiora di carta color cenere.
I ragazzini voltarono lentamente le teste verso di lui, come un gruppo di automi attivati dalla presenza del loro ‘’alpha’’. Non lasciarono trasparire la minima sorpresa o curiosità che gli rivolgevano gli altri presenti, di cui alcuni, con l’innocente intenzione di complimentarsi con lui per l’ottimo cosplay, si ritrovarono invece congelati a metà strada e con il sorriso spezzato sulla faccia, trafitti dallo sguardo del Santo.
I cinque Santi si salutarono con un cenno della testa, come rispondendo al saluto segreto di una setta esclusiva.
Il Santo li attraversò e sorrise pensando all’inizio di una barzelletta:
Cinque Santi entrano in una libreria…
Si sedette in prima fila, abbastanza vicino alla sedia dove si sarebbe dovuto sedere Pichelli da poterla sfiorare con la punta della scarpa. Attendeva insolitamente nervoso, tamburellando con le dita sul ginocchio, cercando di nascondere tra le cosce le mani graffiate o le maniche macchiate di sangue.
Non si era mai sentito così nervoso, nemmeno quando dovette affrontare il primo dei Quattro Cavalieri dell’Apocalisse. Il Santo cercò di convincersi che quella strana forma di ansia fosse parte della fisionomia di Marzio, come qualcosa che gli scorresse nel sangue, ma la maniera in cui la Voce sembrava friggergli tra i timpani, rimbalzando da un angolo all’altro del suo corpo, prima nelle ginocchia, poi sulla punta delle dita, lo costrinse ad abbandonare ogni teoria e accettare la sua nuova realtà.
«Non firma le copie della Stagione delle Piogge» sussurrò alle sue spalle uno dei presenti, rivolto al suo accompagnatore che fissava il palco con la stessa tensione estatica che doveva tendere la pelle di Marzio.
«Sono già firmate» gli disse l’accompagnatore. «Voglio solo fargli capire che la sua storia è ancora qua, che lo aspettiamo…»
Il Santo sentì un nodo stringergli la gola a sentire quella voce mossa da una versione sbiadita della sua speranza e che, come lui, doveva vivere con la consapevolezza che, dopo tanta strada, dopo chilometri di domande accumulate, probabilmente solo una manciata di queste avrebbero ricevuto una risposta.
I Sante e le Sante si sedettero, sparpagliandosi tra le file di sedie della sala principale. La Santa con l’hijab si sedette in prima fila, a poche sedie di distanza dal Santo. Incrociò le mani mani intorno al ginocchio, sollevando le maniche dell’abito e mettendo in bella mostra l’intricato intreccio di cicatrici violacee ricalcate con l‘henné che le attraversavano i polsi fino alla punta delle dita. Come due animali che riconoscevano l’uno la specie dell’altro, il Santo e la Santa si osservarono. Le loro cicatrici cominciarono a formicolare, come preparandosi ad esplodere in una nuova scarica. Grattandosi le braccia per cancellare quel formicolio, Il Santo voltò lo sguardo verso le file alle sue spalle e trovò le altre copie intente a grattarsi le rispettive cicatrici.
Il comportamento dei cinque Santi sollevò una nuova curiosità degli altri presenti in abiti civili che cominciarono ad accarezzarsi nervosamente i polsi e le braccia, convinti della diffusione di qualche nuova malattia dermatologica che andava diffondendosi nella sala.
«La senti anche tu?» chiese la Santa con l’hijab, sporgendosi verso il Santo, senza smettere di grattarsi il braccio. «La Voce. È come una radio che non riesce a sintonizzarsi.»
Il Santo schiuse le labbra, ma le parole gli rimasero incastrate nel pomo d’adamo, come una specie di palla di pelo. Si limitò ad annuire e sospirare; il gesto più vicino a un grido di aiuto che avesse mai manifestato sulla carta e nella realtà.
«La sto cercando, la cercano anche gli altri» continuò la ragazza, indicando con un cenno della testa gli altri Santi. «Cerco, cerco e cerco… ma non trovo nulla. Siam punto e a capo.»
Il campanellino sopra la porta d’ingresso risuonò, annunciando l’arrivo degli ultimi due spettatori. Santi e Sante si voltarono, in perfetta sincronia, a osservare i nuovi arrivati.
Invece della tunica da prete, i nuovi visitatori erano vestiti con pantaloni a pinocchietto mimetici, bomber verdi scoloriti e berretti che gli nascondevano le teste rasate. I due girarono per la sala, guardandosi attorno con un sorriso strafottente, attraversando la sala, dritti verso le ultime file.
Il Santo grugnì e tornò col viso rivolto verso il podio vuoto che attendeva l’arrivo di Pichelli.
Dopo una decina di minuti, la musica di sottofondo svanì sfumando. Le luci si abbassarono e lo scalpiccio strascicato di due paia di scarpe echeggiò dal soppalco, rimbalzando tra le pareti e gli scaffali. Il Santo cercò di riprendere il controllo del suo battito, mentre seguiva con la coda dell’occhio la discesa di un ometto grasso sulla cinquantina, con barba e capelli bianchi e lunghi e un paio di occhiali dalla montatura che si sarebbe presentato come il moderatore della presentazione. Pichelli lo seguiva a un paio di scalini di distanza, come un suo prigioniero, barcollando con la testa bassa e una mano stretta intorno al corrimano per mantenere l’equilibrio precario.
Salirono sul palco, accolti da un debole scrosciare di applausi. Pichelli salutò timidamente, alzando una mano con fare scocciato e si sedette, sfiorando inavvertitamente la scarpa del Santo. Bastò quel tocco distratto e involontario perché le narici del Santo si riempissero di nuovo dell’aria torrida e intrisa di sabbia e osso, di quel calore che gli bruciava la pelle tanto da risentire quel desiderio di volersela strappare di dosso, pur di sfuggire al dolore. Il Santo strinse i denti e si promise di non trasformare quel bruciore intorno alle palpebre in un pianto, limitandosi a stingere un pugno tremante sopra il ginocchio, da cui piovvero microscopiche schegge di quello che una volta era il finestrino della sua macchina.
«Buonasera a tutti» esordì il moderatore, prendendo posto dietro il podio. «E buonasera a chi ci segue in streaming da casa.»
Il moderatore si sporse e salutò con la mano verso la telecamera, mentre gli occhi di Pichelli strisciarono ansiosi prima verso il led rosso che lampeggiava sopra l’obiettivo della webcam e poi, come se la striscia di luce rosa lo guidasse verso la sua sorgente, strisciò fino a fermarsi sui due nazi-skin seduti in un’ultima fila. I due salutarono sventolando le dita e Pichelli, quasi come seguendo una reazione dei neuroni a specchio, ricambiò il saluto.
Il moderatore lo presentò brevemente, introducendolo come lo scrittore più amato da chi non ama i fumetti; un’introduzione che nella bocca di Pichelli e di tutti gli appassionati di fumetti lasciava il sapore amarognola di una mezza vittoria.
Nonostante quell’affermazione suscitasse smorfie più o meno comiche sul suo viso, il viso di Michele non ebbe alcuna reazione. Continuò a tenere la sguardo basso, sfogliano la copia del suo romanzo cercando con le dita nevrasteniche il punto giusto come uno studentello alla ricerca del compito a casa che gli era stato assegnato.
Il moderatore lo guardò preoccupato con la coda dell’occhio, facendosi paonazzo e lucido di sudore sotto i faretti del palco. Proseguì, con voce tremolante, leggendo dal fogliettino mezzo stropicciato la biografia scaricata quella mattina da Wikipedia.
« M’interrompa se senta delle inesattezze. »
« Certo, sì » rispose distratto, continuando a sfogliare.
Quando il moderatore lesse: « Nel 2001, esce il primo numero de La Stagione delle Piogge, primo capitolo del fumetto interamente scritto e disegnato da Michele Pichelli che, a soli vent’anni, lo catapulterà al centro del mondo letterario… » le dita di Pichelli si fermarono e rimasero a tremare in sospeso sopra le pagine. « Io… »
Il moderatore s’interruppe e si girò verso Pichelli, in attesa di una correzione.
« Avevo ventidue anni, » rispose Pichelli, tendendo meccanicamente le labbra in un sorriso. « Non ventuno. Ventidue. Spero… spero che qualcuno in sala abbia voglia di correggerlo, stasera. » Pichelli rivolse un sorriso al pubblico, ma gli unici a sorridere furono i due nazi-skin che filmavano la presentazione con i cellulari.
« … E arriviamo a oggi, con l’uscita de ‘’La Mano’’ . Sulla pagina Wikipedia trovate solo la sinossi e la data di uscita, ma visto che abbiamo l’autore proprio qui, forse dovremmo lasciare a lui… »
«Devo leggere il capitolo tre» Pichelli saltò brusco sulla voce del moderatore, facendo saltare lo sguardo tra le fotocamere dei naziskine e la lucetta rossa della webcam che pulsò in approvazione.
Il moderatore corrugò la fronte come un cagnolino confuso.. Poi, dal nulla, come riattivando un meccanismo, sorrise.
«Andiamo subito al dunque, sì» disse, invitandolo con la mano.
Pichelli trovò il terzo capitolo. Si schiarì la gola, provocando un lungo, acuto fischio del microfono che non sembrò sfiorare nessuno nella sala, eccetto per i due nazi e il moderatore. Aprì la bocca, prese un bel respiro, e…
« Basta. Questa stronza farsa finisce qui. »
Pichelli fece schizzare gli occhi dal libro e incontrò il suo riflesso negli occhiali del Santo. Lo aveva già notato anche salendo sul palco, ma giusto come si poteva notare un ottimo cosplay tanto preciso da farti dimenticare di qualunque imposizione della realtà. Ma c’era qualcosa che andava oltre il costume e la benedizione di essere nati con dei tratti simili a quelli del tuo personaggio preferito. Un brivido, con la complicità di una robusta distorsione alcolica, gli diceva che quello era davvero Il Santo, venuto dalla carte per espiare le sue colpe come il Fantasma del Natale Passato.
« Non è neanche iniziata » disse Pichelli.
« Mi scusi, signore … » intervenne il moderatore, mostrando i palmi delle mani in segno di pace.
Il Santo gli puntò contro l’indice.
« Non sono qui per collezionare vittime, vecchio » gli disse. Poi, alzo un pollice e lo piegò, come azionando una pistola immaginario. Il moderatore tornò a sedersi, stringendo la pagina stampata da Wikipedia tra le mani.
« Signore » disse Michele, fissando la spia della webcam che pulsava al ritmo della disapprovazione della Presidentessa. « Io devo leggere questo capitolo. »
« No che non devi » Il Santo tornò a rivolgersi a Pichelli. « Questa cosa non ha mai riguardato te. È la mia storia che hai deciso di raccontare ed è quella che devi finire. È il tuo compito, come io ho la mia missione. » Si sporse in avanti, sollevando un verso di sussulto tra il pubblico, e porse una mano verso Pichelli. « Vieni con me. Finiamo quello che abbiamo iniziato. »
« Sennò…? » Chiese Pichelli, cercando di trattenere il tremolio della voce. I due naziskin osservavano la scena con le bocche ridotte a due puntini. Uno di loro, senza togliere gli occhi di dosso dal Santo, scostò il bomber e appoggiò la mano sul manico della pistola che gli sporgeva dai pantaloni.
Gli altri quattro Santi, senza nemmeno osservarsi o fare nessun altro gesto d’intesa, infilarono le mani all’interno delle loro tuniche e attesero, mentre il resto degli spettatori si guardava intorno, cercando possibili nascondigli o calcolando il tempo che gli sarebbe servito per arrivare all’uscita.
Il Santo, rimase a guardare il suo creatore con la bocca schiusa in un taglio.
« Sennò…? » Chiese Il Santo, indietreggiando. Allargò le braccia e le lasciò ricadere suo fianchi, sconsolato. « Sennò la pioggia non arriverà mai, Michele. »
La porta d’ingresso si spalancò in un’esplosione, facendo schizzare la campanella fino alla sezione dei libri d’arte in mezzo alla sala. La bodyguard rimase sulla soglia, ondeggiando con entrambe le mani premute sulla gola lacerata e con gli rabbiosi fissi verso il Santo. Mosse un passo in avanti, facendo schizzare un denso fiotto di sangue sul pavimento. Dopo aver lanciato un grugnito di disapprovazione, mosse un altro passo, schizzando un altro fiotto e proseguì così, muovendosi con le gambe rigide come il mostro di Frankensetin insozzando libri in edizione limitata e preziosi trafiletti di giornale dedicati alla libreria appesi con lo scotch sulle casse.
I due nazi balzarono in piedi e indietreggiarono, con le mani pronte sopra le pistole infilate dietro la cintola, osservando la lenta avanzata del bodyguard con gli occhi sgranati. I quattro Santi, per contro, non ebbero nessuna esitazione a tirare fuori le loro Desert Eagle e a puntarle verso la bodyguard e i due naziskin.
Il Santo lanciò un grugnito e sfilò la sua Desert Eagle dalla fondina. Quello che restava degli spettatori si alzò urlando, gettando le sedie sul pavimento e correndo verso i nascondigli e le vie di fuga pianificate in precedenza.
Il Santo sparò il suo primo colpo. La spallina della bodyguard esplose in una nuvola di sangue e tessuto, senza frenare la bodyguard, che proseguì scansando libri e spettatori in fuga. Il secondo colpo fece esplodere la seconda spallina e il terzo colpì finalmente l’uomo in pieno petto. La bodyguard si fermò, osservando confuso il sangue che si spandeva dal forellino nero vicino al capezzolo. Sputò un lungo fiotto di sangue sul pavimento, si asciugò le labbra e proseguì, completando la sua imitazione di Frankenstein emettendo lunghi gemiti gutturali.
Pichelli si gettò dal palco e si mise a strisciare a carponi sul pavimento, facendo zig-zag tra le sedie, finché due paia di mani non lo afferrarono e lo sollevarono da terra.
«Non puoi morire qui» gli disse uno dei nazi, sollevandolo e trascinandolo via.
Il Santo continuò a sparare, mantenendo la posa rigida da cowboy che molti visitatori, se non fossero fuggiti per salvare le loro vite, avrebbero riconosciuti da centinaia di vignette, poster e copertine. Continuando a sparare sul corpo ormai crivellato di colpi della bodyguard, Il Santo vide con la coda dell’occhio Pichelli trascinato via dai due naziskin, piegati come soldati per evitare i colpi sparati dagli altri Santi. Imprecando a denti stretti, avanzò, continuando a sparare, finché non riuscì finalmente a colpire quel dannato gorilla dritto in mezzo agli occhi. La bodyguard rimase a fissare Marzio con sguardo inebetito, con un filo di bava pendente dal labbro inferiore. Incrociò gli occhi come un cartone animato e crollò sulla schiena.
Prima ancora che il corpo dell’uomo toccasse terra, Il Santo infilò la pistola nella fondina e corse verso l’uscita, lasciandosi alle spalle i quattro Santi a osservarlo mentre si rituffava nella Panda.

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